La situazione del nostro Paese in queste settimane ci ha costretto a rallentare e stravolgere la nostra quotidianità, a fermare le nostre vite in modo brusco, non programmato e non voluto.
Nonostante ciò credo che mettere in pausa il nostro Paese fosse necessario sia per contenere l’emergenza ma anche perché tutti avevamo bisogno di fermarci psicologicamente. Purtroppo per la maggior parte delle persone questo può avvenire solo fermandosi anche fisicamente.
Avevamo e abbiamo bisogno di “mettere in pausa” la frenesia della quotidianità per ritrovare la nostra umanità, la nostra solidarietà, il rispetto gli uni per gli altri e l’amore per il bene comune.
In queste settimane abbiamo avuto una fotografia dell’Italia e degli italiani che da educatrice non condivido e non giustifico; da quest’immagine, infatti, emerge il ritratto di una società senza regole, persone incivili sempre pronte a cercare di raggirare la legge. A mio parere, per essere cittadini consapevoli, basterebbe anche solo la metà dell’energia che viene usata in questi giorni per ingannare la normativa e per sfuggire a sanzioni. Se questa energia fosse indirizzata in altri processi più costruttivi saremmo sicuramente cittadini migliori.
Da educatrice questo mi fa arrabbiare perché, per indole, sono sempre portata a cercare di sistemare le cose al meglio nel rispetto delle regole e per migliorare la convivenza fra le persone.
Una fotografia bellissima invece ci arriva dall’estero; molti Stati e città del mondo hanno espresso solidarietà nei nostri confronti. Tale solidarietà non è solo empatica ma anche pratica, infatti ci stanno arrivando aiuti concreti da diverse parti del pianeta. Mi piace pensare che questa sia una lezione di qualche entità dell’universo che vuole ricordarci che i confini sono solo sulle cartine geografiche, sono giuridici e convenzionali. Quello che conta è che siamo realmente tutti uguali, siamo tutti esseri umani e, se qualcuno di noi è in difficoltà, ha il diritto di essere aiutato e supportato da chi vive in una condizione privilegiata e ha il dovere morale di tendere la mano verso chi ne ha più bisogno.
Io che ho scelto di fare l’educatrice la tengo sempre bene a mente questa lezione, così come i miei colleghi. Educare vuol dire anche questo, far capire a chi educhiamo quanto sia importante la solidarietà, il rispetto, la gentilezza.
Questo è quello che gli educatori fanno quotidianamente: negli interventi scolastici e in quelli domiciliari, nelle strutture residenziali, nei centri diurni, in strada, nei centri di aggregazione, in situazioni difficili e quasi sempre borderline, in una società che non riconosce minimamente l’importanza e il valore del lavoro del terzo settore, in un paese che manca di progettualità nonché di programmazione nelle politiche sociali.
Per costruire “l’ossatura” di un Pese, infatti, è fondamentale partire proprio dalle politiche sociali per educare le persone ad essere cittadini consapevoli. Tale impostazione permetterebbe agli educatori di lavorare attraverso la prevenzione e non in situazioni di emergenza come sono spesso costretti a fare perché, nonostante il momento drammatico che stiamo vivendo, gli educatori e gli operatori sociali lavorano principalmente in emergenza.
Per concludere credo sia davvero difficile e complesso riuscire a capire quale sia la cosa migliore da fare in questi momenti di crisi (è giusto sospendere gli interventi oppure no? È giusto chiudere i centri oppure no?).
È difficile trovare risposte a queste domande perché lavoriamo con le persone e non con “macchine o mezzi”. Non so quale sia la scelta migliore perché probabilmente non ce n’è una giusta in assoluto, l’unica cosa che possiamo fare è resistere, (cosa che ci riesce piuttosto bene) per noi, per gli utenti, per l’equipe di lavoro e per qualcosa di più grande che ci ha spinto a diventare educatori: il bene comune.
Elisa De Rebotti, educatrice presso la cooperativa CIPSS- Narni scalo (Tr)